Ad appena ventotto anni, Giulio Andreotti si trovò a gestire una serie di problemi delicati, con evidenti ricadute sia sul piano interno che internazionale. Nel 1947 era stato infatti nominato sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio e, fra le varie competenze affidategli da Alcide De Gasperi, vi era la responsabilità politica dell’Ufficio per le zone di confine, un organo istituzionale sorto per coordinare l’attività del governo nelle complesse situazioni di frontiera. L’Ufficio era alimentato da ingenti fondi riservati, che Andreotti decideva di volta in volta come utilizzare.
Le carte inedite dell’Archivio Andreotti, e di altri archivi consultati per questa indagine, rivelano un giovane all’inizio della carriera, già dotato delle qualità che contribuiranno a renderlo uno fra i politici più rappresentativi della storia italiana del dopoguerra. Nell’affrontare le principali sfide poste dal suo compito – la propaganda in difesa dell’italianità, la tutela delle minoranze linguistiche, l’attuazione dell’autonomia speciale, i rapporti spesso difficili con la classe dirigente locale – Andreotti si dimostra già uomo di Stato e di governo più che di partito, di grande pragmatismo e con rapporti privilegiati con il mondo ecclesiastico. Pure l’analisi degli errori compiuti, per la scarsa esperienza e forsanche per l’eccessiva ambizione, contribuisce alla ricostruzione di un tratto importante della sua complessa e per certi versi controversa biografia, così rilevante per il passato e il presente del nostro paese.
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