«Al mattino, la gente veniva a sapere cos’era successo nella notte.
Vedeva le case sventrate e i corpi selvaggiamente strappati alla vita,
e rabbrividiva d’orrore di fronte a quanto era accaduto».
Le Memorie di un assedio di Lidija Ginzburg offrono al lettore una straordinaria testimonianza sui novecento giorni dell’assedio di Leningrado. Quello della Ginzburg non è solo un diario, ma anche una riflessione filosofica sul comportamento dell’individuo costretto a misurarsi con una condizione estrema.
Protagonista della narrazione è un intellettuale denominato N, quasi un alter ego maschile della stessa autrice. N diventa il simbolo della resilienza e della forza vitale dell’individuo che lotta quotidianamente per preservare la propria dignità, la libertà di pensiero e il diritto a esistere malgrado la degradazione e la sofferenza disumanizzante, tipiche della condizione degli assediati. La Leningrado in cui vive N è una città trasfigurata dalla guerra e dall’assedio, isolata, attanagliata dal gelo e dalla fame, un luogo di devastazione e di morte, dove la vita quotidiana scorre in circolo e tutte le azioni sono finalizzate alla sopravvivenza.
Ma al tempo stesso il legame con Leningrado è indissolubile e la città sopravvive grazie alla resistenza dei suoi abitanti.
Il volume fa parte della collana Narrare la memoria
Lidija Ginzburg nasce il 18 marzo 1902 a Odessa, in una famiglia della intelligencija ebraica. Nel 1917, in quanto erede degli ideali social-liberali di quel contesto culturale, è travolta con i suoi compagni di studio dal clima di fervore culturale e ideologico della rivoluzione. Nel 1922 si trasferisce a Leningrado dove si iscrive all’Istituto di Storia dell’Arte che frequenta fino a quando questo viene chiuso dalle autorità nel 1930. Tiene seminari sulla poesia russa del diciannovesimo e ventesimo secolo, oggetto della sua ricerca e delle sue prime pubblicazioni. Negli anni Venti partecipa attivamente al dibattito culturale sulle nuove teorie e correnti letterarie, entrando a far parte di quella cerchia di giovani formalisti indipendenti – Viktor Šklovskij, Jurij Tynjanov e Boris Ejchenbaum – che lei definiva di «innocente opposizione» ai dogmi dell’Accademia. Negli anni del regime staliniano fu oggetto di violenti attacchi da parte dei teorici della letteratura sovietica e perseguitata per la sua origine ebraica. Durante l’assedio riuscì a sopravvivere grazie a un modesto impiego nel leggendario Comitato della Radio di Leningrado. Solo alla fine degli anni Ottanta, con l’avvento della perestrojka, la Ginzburg pubblica i suoi saggi e il suo diario che aveva cominciato a scrivere negli anni Venti. Fra questi l’importante saggio La prosa psicologica e Lo scrittore al tavolino di lavoro. Rimase a Leningrado fino alla sua morte nel 1990, sempre partecipe dell’attività intellettuale e dei fenomeni culturali della città.
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