È notizia degli ultimi giorni che l’Italia, in sordina – tramite una “nota verbale” trasmessa ai diplomatici cinesi -, è uscita dalla Nuova via della seta. Molti analisti si stanno interrogando sui motivi della decisione presa dal governo a guida Giorgia Meloni, ma soprattutto sulla sua bontà: è stato giusto o sbagliato?
Il punto di vista di Luigi Merlo
Secondo Luigi Merlo, aderire alla Belt and Road Initiative si tratta di «un equivoco clamoroso». Dirigente con una lunga esperienza nel settore marittimo (è responsabile delle relazioni istituzionali per l’Italia di Msc, ed è stato assessore alle infrastrutture, trasporti e porti della Regione Liguria, oggi è Presidente di Federlogistica), nel suo libro Rivoluzionare la politica marittima italiana. Per un vero Ministero del Mare, afferma che sulla Nuova via della seta «si è costruita una narrazione molto accattivante, fondata tuttavia su presupposti sbagliati». Il progetto affascina molto, ma con esso «la Cina – avverte Merlo – diverrebbe “proprietario” di territori europei, con il risultato che alcuni Paesi si troverebbero a esercitare una sovranità limitata».
Un rischio anche per le aziende
Un progetto simile attrae molto alcune aziende come Fincantieri, ma «se nel breve e medio periodo può rappresentare un’opportunità di crescita, è lecito domandarsi se nel lungo periodo la Cina, come avvenuto in altri ambiti, non sarà invece in grado di formulare proposte commerciali così “fuori mercato” da far soccombere la cantieristica italiana ed europea».