L’Imprese Enciclopedia di Gianfranco Dioguardi: recensione (sentimentale) di un manager

di Lauro Venturi

L’Impresa Enciclopedia, l’ultimo (capo)lavoro del prof. Gianfranco Dioguardi, è un’opera monumentale che si divora con l’impazienza di un ragazzino e la riflessione tipica della “ruminazione”.

La copertina, probabilmente non a caso, evoca il cubo di Rubik e il concetto che ogni elemento di un sistema debba muoversi in armonia con il sistema stesso.

Nelle pagine del libro ho ritrovato subito l’armonia tra la rivisitazione rigorosa di principi fondamentali (come il cambiamento e il percorso della ricerca) e l’elaborazione originale e coraggiosa sulla costruzione di un nuovo Illuminismo.

Ho ritrovato la precisione chirurgica e la cristallina esposizione di argomenti complessi del professor Dioguardi, la sua immensa cultura mai ostentata ma percepibile da ogni riga. Ad esempio, le molteplici citazioni non sono mai “incollate” a caso ma incastonate nel ragionamento a cui si riferiscono.

Ho ritrovato, leggendo il libro, anche l’Uomo Gianfranco, la sua vivida intelligenza, l’ossessione per una speranza che non viene mai meno e che è resa ancor più credibile da alcune malinconie elegantemente espresse, legate al decadimento di questi tempi non solamente troppo lontani dall’Illuminismo, ma anche – purtroppo, dal buonsenso.

Il libro, come dicevo, è un’opera monumentale che però non mette soggezione perché cucinata con sapienza e raffinatezza.

L’autore descrive in maniera sublime le turbolenze che attraversano la nostra epoca, inquadrando fenomeni recenti (come il Covid e le imponenti provvidenze europee) nella lezione della storia. Compie un’analisi lucida e robusta (dal punto di vista teorico) del cambiamento che si affaccia senza mai chiedere permesso.

Mi ha emozionato e rapito il capitolo sulla ricerca: quanto avrei voluto essere uno studente del professor Dioguardi! Sa illustrare con straordinario rigore i processi che devono sottendere alla ricerca e, nello stesso tempo, coniuga questo lavoro certosino con l’immaginazione, il dubbio e l’errore: Dioguardi è davvero un Educatore!

Mi hanno commosso le pagine dedicate ai giovani. Nella mia recente esperienza come CEO di un gruppo leader mondiale nelle tecnologie per l’irrigazione ho investito tanto in questo senso, attraverso corsi di formazione e supporto diretto con il coaching. Chiamai Gianfranco Dioguardi, che tenne una lectio magitralis sul governo dell’impresa attraverso la Cultura. Al termine del suo intervento consegnò i diplomi a sei giovani manager, che oggi ricoprono le principali responsabilità. Il libro in oggetto mi ha fatto ricordare aspetti e valori di quel lavoro che forse avevo disperso, o dato per scontati.

Magistrale poi è il puzzle che l’autore realizza inserendo l’imprenditore, l’impresa e il territorio in un ecosistema indiscutibile. Queste tre dimensioni sono attraversate dal filo comune di una governance che contenga la buona organizzazione e la visione sfidante. Dioguardi ci invita a credere che davvero uno più uno più uno (imprenditore, impresa e città) possa fare cinque, o sei!

Dioguardi ci indica la strada perché questo avvenga, ricordandoci che non sarà gratis. Occorre riscoprire i valori perduti, mai cedendo alla nostalgia, bensì reinterpretandoli alla luce di una cultura vasta, profonda ed autentica. Magistrali in questo senso le ampie considerazioni sui rischi già attuali del “digitale”: “D’altra parte, viviamo purtroppo un’era caratterizzata da una vera cultura sempre più lontana dalla gente comune, plagiata com’è dai mezzi di informazione di massa che intendono assopire la curiosità e il godimento culturale sostituendoli con un’eccessiva erogazione di informazioni spicciole accompagnata da svaghi banali che occupano il tempo e non la mente”. A questo “delirio digitale”, per citare una bellissima canzone di Vecchioni, a differenza del raffinato cantautore Dioguardi decide invece di voler appartenere: ma sempre vigile e critico. Ci indirizza, senza esagerazioni, verso il commovente neo Illuminismo del sapere. 

Molto incisive anche le pagine sugli scenari, proiettati nel futuro non con astratte speranze ma declinando l’impresa nuova del terzo millennio. Questa impresa è parte integrante della città – impresa che con coraggio Dioguardi definisce tale, sapendo di non correre il rischio del cortocircuito introdotto in modo drammatico dal berlusconesimo (si ricordino le banali 3 I – impresa, inglese, informatica – buttate lì come lo slogan per vendere una saponetta). No, la città impresa descritta e auspicata da Dioguardi è umana, il cittadino e i politici locali hanno un ruolo da protagonisti, non da consumatori. Certo, l’autore evidenzia la fatica di studiare, che non può essere bypassata. Un grande aiuto verrà dalla brillante idea di City school, delineata con cura nelle pagine del libro. Questo passaggio mi ha ricordato le parole del sociologo Prandstraller: “L’istruzione ha da essere abbondante sempre, e mai rifiutabile. L’unica cosa da fare a questo proposito, è di accettare serenamente questo sottile supplizio, sperando che si trasformi in un piacevole vizio”. Trovo l’intera opera di Gianfranco Dioguardi coerente con questo aforisma, valorizzato dal fatto che nella sua vita l’autore non si è limitato al prezioso lavoro teorico, ma ha perseguito sempre anche la sua applicazione (un esempio per tutti i cantieri – evento di Lione, realizzati dalla sua impresa di costruzioni).

Non può che essere definita ‘geniale’ la proposta di Impresa Enciclopedia, che contiene i diversi saperi interdisciplinari, accessibili in modo organizzato per creare innovazione diffusa, unendo le generazioni con il collante dell’educazione culturale, descritta nelle pagine di questo libro in maniera perfetta.

Grazie a questa rigorosa e avvincente educazione culturale, sarà più facile essere imprenditori di se stessi, sarà più facile mettere l’uomo al centro dell’impresa e l’impresa al centro del territorio.

Sarà più facile e più robusto, perché non si tratta dell’ennesima moda. No, l’Impresa Enciclopedia è la nave che ci porterà fuori dai marosi rozzi e pericolosi che stiamo attraversando per approdare a un nuovo Illuminismo, grazie ai venti intensi della nostra esperienza, ma anche alle brezze fresche dei giovani.

Dioguardi scrive che “…si delinea così il modello innovativo di «Impresa-Enciclopedia» per acquisire e diffondere cultura al fine di illuminare l’oscurità oggi predominante grazie a funzioni simili a quelle tipiche dell’Encyclopédie che riuscì a rendere il Settecento il «Secolo dei Lumi»: cosa aggiungere di più?

Forse che con questo ultimo lavoro Gianfranco Dioguardi ci stupisce un’altra volta, correndo più veloce di uno sparviero, lasciandosi alle spalle, senza dimenticare ma perdonandolo, quel mare tremendo che si deve attraversare per poter approdare in posti tranquilli.

Il giudizio lusinghiero che ho appena tracciato è indubbiamente dovuto alla stima e all’affetto che nutro per Gianfranco Dioguardi. Lo incontrai alla fine degli anni Ottanta attraverso un articolo nel quale sosteneva, già allora, che per l’impresa l’obiettivo economico e la missione sociale fossero complementari. L’intervistatore gli chiese: “Ma allora, lei è un filantropo?”. Dioguardi rispose: “No, sono un imprenditore. Vede, l’impresa ha bisogno di stringere contatti stretti con il territorio nel quale vive. Per due motivi: perché si approvvigiona di risorse umane dal territorio, e quindi ha la necessità che allevi giovani colti e ben preparati; e poi perché i dipendenti, nel momento in cui smettono di lavorare, si proiettano nel territorio”.

Quelle parole mi colpirono e decisi di invitarlo alla convention che annualmente organizzavo per gli imprenditori clienti della società di consulenza che allora dirigevo. Tenne una vera propria lezione sul neoumanesimo imprenditoriale da contrapporre al clima cupo di decadenza che egli aveva già intuito. Concluse leggendo la suggestiva poesia di Cavafys, Itaca. Diversi partecipanti vennero a congratularsi per la brillante serata e alcuni di loro mi dissero: “Grazie per averci ritenuto in grado di capire questa bellissima lezione!”.

Capii allora il valore della cultura, quella vera e non ostentata, anche come elemento di governo dell’impresa. Questo condizionò in modo positivo il mio operare degli anni futuri, sia come consulente che come formatore e manager. Chi entra nel tuo cuore con questi significati poi non ne esce più. Ma non per questo ho edulcorato il commento a questo importante e bel libro. Ai lettori l’ardua sentenza!

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