«Tangentopoli era la malattia, e Mani Pulite la cura. Anche se quest’ultima, come spesso capita, si è rivelata più dannosa della prima».
A trent’anni da Tangentopoli, siamo ben lontani dal progetto di ripristinare la legalità nelle istituzioni. I rimedi messi in atto coi processi di Mani Pulite si sono rivelati peggiori del male che dovevano curare: la corruzione non è diminuita, come dimostra il caso del Mose, anzi ha aumentato i suoi introiti. Ma l’effetto collaterale più pernicioso è stato portare la magistratura al controllo dei partiti e alla tutela del Paese, fino al punto di sovvertire il responso delle urne e modificare gli equilibri parlamentari. Un’investitura permessa dalla subordinazione codarda della politica, che ha voluto assegnare alle toghe un ruolo salvifico e dirimente. In questo modo alla divisione dei poteri, invocata dalla Costituzione, è subentrata invece la loro confusione pressoché totale.
Quindici anni fa l’ottanta per cento degli italiani confidava ancora nei magistrati. Oggi, dopo gli ultimi scandali emersi nella Procura di Milano, le faide tra le correnti interne e gli innumerevoli episodi di protagonismo dei Pm, non solo la percentuale è crollata, ma a documentare la sfiducia dei cittadini è anche un mezzo milione di firme raccolte per il referendum «Giustizia giusta». Indipendentemente dalla formulazione dei quesiti, imperfetta e spesso incomprensibile, il messaggio sottostante è chiarissimo: occorre una rivoluzione copernicana del sistema giudiziario, perché il tempo sta per scadere. Siamo ormai all’ultimo atto.
CARLO NORDIO, editorialista ed ex magistrato. Dal 1977 al 2017 è stato protagonista chiave di alcuni dei più importanti processi nella storia giudiziaria italiana: ha condotto le indagini sulle Brigate rosse venete nei primi anni Ottanta e quelle sui reati di Tangentopoli; nel 2014, da procuratore aggiunto di Venezia, ha poi coordinato l’inchiesta sul Mose. È stato inoltre consulente della Commissione parlamentare per il terrorismo e presidente della Commissione ministeriale per la riforma del codice penale. Dal 2018 fa parte del Cda della Fondazione Luigi Einaudi. Collabora con Il Messaggero, Il Gazzettino e Il Mattino di Napoli. Per le nostre edizioni ha scritto Giustizia (1997), Emergenza giustizia (1999), con Giuliano Pisapia, In attesa di giustizia (2010) e La stagione dell’indulgenza e i suoi frutti avvelenati (2019). Nell’ottobre 2022 è stato nominato Ministro della Giustizia.